lunedì 24 marzo 2008

>> UNA NOTA di MASSIMO PULIANI



LA SOCIETA’ di MARIO di Massimo Puliani (nella foto con Dondero)

Di quale società potrebbe esser parte Mario Dondero?

“Società di capitali”? Chi lo conosce sa che la detesterebbe. “Società per azioni”? Proudhonianamente la proprietà è un furto. “Società a responsabilità limitata”? Macché. Lui intende prendersi le proprie responsabilità fino in fondo. “Società semplice”? No, troppo semplice, benché la “semplicità” sia un qualcosa di “genuino” e di “trasparente”. Ne rimangono due: “Società cooperativa” - e questa potrebbe essere in sintonia con le idee di Mario purché intesa nell’antica accezione del termine – e “Società di persone”, che è forse la più appropriata, purché non sia disciplinata dai dettami del Codice Civile.

Ma se volessimo continuare – giocando, nel paradosso della realtà quotidiana, a trovare una definizione di quel sistema originale di relazioni e comportamenti, regole e filosofie che appartengono alla sfera dell’Utopia di Dondero - quella società si dovrebbe chiamare col suo nome: “La Società di Mario”.

Perché “La Società di Mario” è una sua invenzione: bella, genuina, lunare e solare al tempo stesso. Ci sono tutti nella Società di Mario: intellettuali e operai, pittori e ristoratori, giornalisti e giornalai, donne affascinanti e donne affascinanti (non è un refuso: per Mario la Donna è tale). Una grande democrazia collettiva, dove basta essere solo in due per fare una società (Brecht docet).

“La Società di Mario” è una società “aperta” (come direbbe Karl Popper), dove l’individuo possa vivere nella sua indipendenza, libero da qualsiasi forma di condizionamento, dove possa esercitare la propria creatività e la propria razionalità critica in ambito sociale.

“La Società di Mario” non è quindi un’Utopia, se si intende per Utopia un progetto apparentemente irrealizzabile basato su dei principi giudicati universalmente giusti. La sua è una “società reale”. E’ vero che Mario sia un “utopista”, di un genere difficile da definire, perché insegue un ideale da realizzare. Ma la sua “società”, rispetto alla Città del Sole del filosofo Campanella, non è solo una preziosa testimonianza della sua passione e delle sue speranze di fronte ad una realtà presente dal carattere tragico. È la società delle “persone” (naturalmente anche per immagini), dove vi sia la possibilità di esercitare in modo sublime una “perforazione dei sentimenti”, e dove vi sia la possibilità di esercitare i diritti inalienabili dell’uomo, contro... l’arroganza dei funzionari, le riunioni condominiali, i rumori dei motor show, gli orari dei treni, il cellulare con le fotografie digitali, il posto dietro una scrivania... “La Società di Mario” è quindi il frutto di una sua “visione”, che si materializza ogni giorno quando Mario va al bar o incontra una persona in strada. Mario è gentile, prende a cura le persone, indistintamente per ruoli, sesso ed etnia. Mario si esprime in una lingua magnifica (come annotava Edmondo Berselli in un articolo sull’ “Espresso”), parla le lingue della cultura e del pensiero.

Dove abita Mario?

Sarà un po’ un’affermazione leggendaria: ma dove c’è un accadimento di carattere sociale o culturale là c’è Mario Dondero, c’è una sua fotografia. Gli ho chiesto un giorno di Werner Herzog e lui mi ha raccontato che era a Parigi quando un indigeno protestava contro il regista. E mi ha parlato di Roland Topor, che per Herzog recitò nel Nosferatu. Gli ho accennato al mio interesse per Pasolini, e sappiamo quanto abbia magnificamente documentato l’attività privata e sul set del regista e poeta friulano. Per non dire dei drammaturghi francesi: Beckett, Ionesco, Genet... Come uno Zelig, quel personaggio di Woody Allen sempre presente nelle più storiche foto, Mario Dondero è il fotografo della nostra memoria del Novecento. Basta lanciargli un tag, una “parola chiave”, come in un motore di ricerca (umano): Anni Cinquanta al Bar Giamaica di Milano? Parigi, l’Edition de Minuit? Roma al Ristorante da Cesaretto, o al Caffè Rosati? Fino ai nostri inquieti giorni: dai teatri di guerra all’Afghanistan con Emergency e Gino Strada. Ma a quegli scatti ormai celebri si aggiungono centinaia di foto che, seppur mostrate, non sono mai quello che credi di conoscere. Perché rappresentano una soglia da attraversare, ricordano un incontro, hanno una storia da raccontare. Come un regista dell’École du Regard del suo amico Alain Robbe-Grillet, Mario Dondero ci ha consegnato il suo romanzo: un romanzo del mondo per immagini. Un mondo in “bianco e nero”, poetico e narrativo, evocativo e perennemente “tragico”: cìè la vita che è stata, ci sono le persone che non ci sono più – e che belle persone!

Il Tempo delle Persone

Il mio primo incontro con Dondero è di non molti anni fa. Si presentò come fotografo nel foyer del Teatro della Fortuna di Fano nell’aprile 1998. Era un momento frenetico, doppiamente “elettrico”: si inaugurava un teatro dopo cinquant’anni anni di inattività. Si inscenava in “prima” mondiale uno spettacolo di Bob Wilson, uno dei maggiori registi del Novecento. Eppure, quando quel fotografo - di cui conoscevo sommariamente il curriculum - cominciò a raccontarmi del suo incontro con Samuel Beckett, io, che ero impegnato nell’evento suddetto, ebbi l’impressione di conoscerlo già da anni; che la barriera del tempo si fosse all’improvviso – per così dire - spezzata. Ti accorgi subito quando il tuo tempo è ben speso: e il tempo che si trascorre con Dondero è un tempo utile. Ci sedemmo e cominciammo a parlare. E allora scomparvero le altre cose, le altre questioni, gli altri problemi organizzativi, tutto ciò che avrebbe potuto distrarre la mia attenzione da quella conversazione “intima, civile e straordinariamente particolare”. Perché c’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione.

La bella lingua di Dondero

Ieri, prima di salire su un treno, forse con destinazione Parigi, ma - chissà? forse con tappa a Bologna o a Milano (Mario parte e non si sa per dove, né si sa quando torna) - ha disquisito con me su come i francesi, a differenza degli italiani, distinguano in modo particolare quelli che comunemente vengono definiti seduttori o dongiovanni: da tombeur de femmes, che notoriamente è un grande conquistatore ma anche “vincitore” in senso sportivo (mentre la donna che seduce è avoir du chien, quindi più animalesca), al coureur des jupons, cioè colui che corre dietro le donne come un “farfallone” (être volage), all’ homme à femmes, il donnaiolo, il seduttore inteso in modo “spontaneo”, che non intraprende il gioco del corteggiamento; fino ad arrivare a colui che ha un “credito” (d’amore, non d’argent) nei confronti di una persona (avoir un ticket) e a ritornare a l’amateur.

Questa sua affabulazione, questo suo essere un “viaggiatore perenne”, come uno scrittore all'aria aperta che osserva e ritrae le persone del mondo (le “persone” e non le “immagini” di esse) sono nel dna di Dondero. Mario racconta che, per fotografare Paolo Conte per conto di un quotidiano, si recò a Parigi. Lo incontrò, stettero ore a parlare, ma alla fine non fece ciò che avrebbe dovuto. Si rividero ad Asti. Anche allora parlarono per due giorni e alla fine, nel congedarsi, uno scatto. Un solo scatto. Bellissimo. Sempre di più capisco cosa significhi per Dondero fare uno scatto senza rubare al Tempo quello che è del Tempo: il ritmo della natura come allegoria della relazione umana. Per dirla con Barthes: la “significazione” è l’atto che unisce il “significato e il significante”, ovvero il contenuto e il mezzo. Per Dondero la significazione (quindi la fotografia) è quello che potremmo chiamare l’incontro con la persona (contenuto + mezzo). Non è, come direbbe Saussure, la sua “faccia esterna”. Dondero non rinuncia a quel qualcosa di importante che c’è in ogni congiungimento di parole e immagine, di fare e pensiero. E’ il senso umano che prevale. Non l’illustrazione. In ogni gesto e parola di Dondero, tanto nei suoi discorsi, quanto nelle sue fotografie, che rimandano a questa idea pregnante di umanità, c’è un atteggiamento poetico, da Autore. Qualche volta credo che Mario (come fotografo - reporter) si sforzi di rinunciare a questa attitudine artistica, a questa adesione autorale: ma sono sicuro che non ci riesca, che gli sia impossibile. Le foto di Dondero sono sempre le foto di un Artista.

Oggi Mario dice che verrà. E, a dispetto di Godot, non si sa quando e come, Mario arriverà. Mi squilla il telefono dopo un po’ di tempo che aspettavo con filosofia: “Sono alla stazione – dice. Andiamo a prendere un caffé?”

Massimo Puliani

venerdì 28 marzo 2008